I grandi perché

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"A differenza di tutti gli altri esseri viventi l'uomo è quell'essere che non si adatta a vivere con la sicurezza dell'istinto, quindi senza porsi problemi."
(Carlo Fiore, Dio il problema, Elle di ci, Leumann 1996, p. 7)

                                                                                    Un gatto non s'annoierà mai! L'uomo sì.


L'uomo, da quando è comparso sulla faccia della terra... probabilmente ha cominciato subito a chiedersi "perché".

Facciamo un salto di...millenni. Qualcosa è cambiato? Certamente! Ma...

«Sia in Oriente che in Occidente, è possibile ravvisare un cammino che, nel corso dei secoli, ha portato l'umanità a incontrarsi progressivamente con la verità e a confrontarsi con essa. È un cammino che si è svolto - né poteva essere altrimenti - entro l'orizzonte dell'autocoscienza personale: più l'uomo conosce la realtà e il mondo e più conosce se stesso nella sua unicità, mentre gli diventa sempre più impellente la domanda sul senso delle cose e della sua stessa esistenza.

Quanto viene a porsi come oggetto della nostra conoscenza diventa per ciò stesso parte della nostra vita. Il monito "Conosci te stesso" era scolpito sull'architrave del tempio di Delfi, a testimonianza di una verità basilare che deve essere assunta come regola minima da ogni uomo desideroso di distinguersi, in mezzo a tutto il creato, qualificandosi come "uomo" appunto in quanto "conoscitore di se stesso"

Un semplice sguardo alla storia antica, d'altronde, mostra con chiarezza come in diverse parti della terra, segnate da culture differenti, sorgano nello stesso tempo le domande di fondo che caratterizzano il percorso dell'esistenza umana: chi sono? da dove vengo e dove vado? perché la presenza del male? cosa ci sarà dopo questa vita? Questi interrogativi sono presenti negli scritti sacri di Israele, ma compaiono anche nei Veda non meno che negli Avesta; li troviamo negli scritti di Confucio e Lao-Tze come pure nella predicazione dei Tirthankara e di Buddha; sono ancora essi ad affiorare nei poemi di Omero e nelle tragedie di Euripide e Sofocle come pure nei trattati filosofici di Platone e Aristotele. Sono domande che hanno la loro comune scaturigine nella richiesta di senso che da sempre urge nel cuore dell'uomo: dalla risposta a tali domande, infatti, dipende l'orientamento da imprimere all'esistenza.»
(G.Paolo II, Fide
s et Ratio, Ed.Paoline 1998, pp. 3-4)

 

La ricerca di senso

«Fisici, matematici, esperti di intelligenza artificiale, neurofisiologi, astrofisici nei loro laboratori di ricerca sono alle prese con i difficili problemi delle particelle subatomiche, di quel misteriosissimo pianeta che è il cervello umano, delle infinite distanze di stelle e galassie, dell'evoluzione cosmica, delle radiazioni fossili. Le analisi diventano sempre più sottili e sofisticate, le formule e i linguaggi sempre più indecifrabili ai profani. Si avanza su lingue di terreno sempre più sottili e strette. Ma contemporaneamente si affaccia sull'invisibile schermo dell'uomo che c'è in ogni ricercatore una crescente domanda di senso: da dove viene tutto questo? dove è diretto? che senso ha?»
(Carlo Fiore, Scienza/Fede, Elle di ci, Leumann 1994, p. 16)

«Se gli strumenti scientifici e le formule matematiche più sofisticate gettano una lama di luce su una lingua sottilissima della realtà, rispondendo faticosamente al "come" avviene quel fenomeno, non possono dare una risposta ai "perché" ultimi che frugano l'uomo. La scienza, da sola, non è in grado di rispondere al problema dei significati, degli interrogativi ultimi, dei perché di fondo: perché l'universo? perché l'uomo? perché la vita? perché la morte? che senso ha tutto questo, o tutto è caso e destino cieco? E ancora: che senso ha la scienza per l'uomo? che significato? quali responsabilità».
(Carlo Fiore, Scienza/Fede, Elle di ci, Leumann 1994, p. 16)

 

 

 

Dio?

"Nessuna altra epoca, come l'attuale, ha visto sorgere un interesse così forte, condiviso da cosmologi, filosofi e teologi intorno al problema della comprensione delle basi dell'universo", afferma George V. Coyne. La domanda inquietante che ne sorge è questa: nell'Era della cosmologia si può ancora credere in un Dio Creatore? O le nuove teorie cosmologiche eliminano Dio e la Creazione?
Sono noti i due modelli-tipo in campo cosmologico:
1. Il modello dell'"universo in espansione": l'universo ha avuto inizio 15 miliardi di anni fa con una gigantesca esplosione primordiale, il Big Bang, e si è venuto espandendo.
2. Il modello dell'universo stazionario": l'universo non ha avuto inizio né fine perché la materia (lo spazio-tempo dei fisici) è eterna: "quindi" non c'è più posto per un creatore.Sul piano scientifico il modello espansionario" è il più accetto. La scienza si spinge fino al Big Bang, ma si arresta di fronte al "muro di Plank": cosa c'era un miliardesimo di secondo prima" del Big Bang? Il discorso da fisico diventa metafisico.
1. La eventuale eternità della materia non elimina affatto la Creazione e il Creatore, anche se crea infinite difficoltà in sede scientifica, filosofica e religiosa. Dire Creazione, dal punto di vista metafisico, è dire che l'universo non è autosufficiente, che deve la sua esistenza e il suo permanere nell'essere a un Altro che lo trascende. È affermare la radicale dipendenza dell'universo da Dio. È affermare che mondo e uomo non sono assurdamente sorti dal nulla e gettati nel nulla. È dire "il perché" del mondo e dell'uomo, il suo senso e valore.
2. Sta allo scienziato, cosmologo o astrofisica, spiegare il "come" questo è avvenuto, rispettando il metodo scientifico che esclude spiegazioni di ordine metafisico e trascendente".
(Carlo Fiore, Scienza/Fede, Elle di ci, Leumann 1994, p. 6)

 

"... tutto gronda intelligenza"

"Stavo conversando familiarmente in un angolo dello studio del CERN con il mio vecchio amico Gerard Weil, specialista di informatica al servizio dello studio dei manoscritti massoretici della Bibbia, quando due fisici, approfittando di una sospensione dei lavori nel corso di una importante seduta dei CNRS, si rivolsero a noi dicendo: "In fondo all'acceleratore di particelle tutto gronda intelligenza. Voi, credenti, là in poltrona nell'angolo, non avete nulla da dire in proposito?". Quegli scienziati si interrogavano circa il silenzio dei cristiani sul Dio creatore dei cielo e della terra. Non dimenticherò mai quella domanda così provocatoria. Ci ricorda che, certo con prudenza, noi dobbiamo ricominciare a parlare di Dio ".

(Pierre Chaunu, storico francese, in Carlo Fiore, Dio il problema, Elledici 1994, pag. 11)

 

 

Il nulla e l'abisso

«F.   Nietzsche è stato uno dei pochi a trarre coraggiosamente le conseguenze nichilistiche cui l'ateismo conduce. Nel suo stile profeticamente turgido e potente, grida: "Venendo a sapere che l'antico Dio è morto, ci sentiamo come illuminati da una nuova aurora; il nostro cuore straripa di gratitudine, di stupore, di presentimento, di attesa: ecco che finalmente l'orizzonte ci appare nuovamente libero" (La gaia scienza, 343). Eppure dalle profondità dei suo essere sale un indicibile senso di tristezza, di solitudine e di un vuoto terrificante, cosmico. "Cosa abbiamo fatto, strappando la catena che legava la terra al sole? Dove va ora la terra? E noi, dove stiamo andando, lontano da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? e all'indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? esiste ancora un alto e un basso? non stiamo forse vagando attraverso un infinito nulla? non alita su di noi lo spazio vuoto? non si è. fatto più freddo? non seguita a venire notte, sempre più notte?" (La gaia scienza, 125).

"Il pensiero di Nietzsche - commenta Kasper - ci si presenta oggi in tutta la sua sbalorditiva attualità. È più attuale di tutti gli schemi elaborati dall'ateismo umanistico, più attuale anche dell'ateismo marxista, che fino a non molto tempo fa parecchi consideravano "la" sfida che viene lanciata al cristianesimo. Infatti con il mistero di Dio scompare il mistero dell' uomo" (Il Dio di Gesù Cristo, Queriniana, Brescia 1984, p. 20). Nell'uomo non si vede altro che un fascio di istinti, un complesso di rapporti sociali. Morta la Trascendenza, muore la libertà e la responsabilità, si spegne ogni fame e sete di giustizia assoluta. Crollano tutti gli assoluti e tutto diventa relativo. La morte di Dio porta alla morte dell'uomo. Della sua unicità e inarrivabile dignità.

Le tragiche esperienze storiche che abbiamo vissute o che stiamo vivendo, confermano questo duro verdetto della storia. L'uomo resta veramente solo e nudo. Assistiamo così al vuoto terribile, alla mancanza di senso, alla perdita di prospettiva, alla disperazione, in definitiva alla vera ragione dell'angoscia esistenziale di cui tanti individui soffrono. Registi cinematografici, autori teatrali, artisti si arrovellano attorno a questi temi: cosa sono le figure smembrate e paradossali di Picasso, i drammi di Beckett, i film di registi impegnati, se non la trascrizione lacerante di questo disagio esistenziale?

Un caos opprimente ed eterno

Se ne fa interprete anche un filosofo polacco marxista, che prese viva parte al dialogo cristiani-marxisti degli anni Sessanta, L. Kolakowski, quando scrive: "Con la sicurezza della fede è andata in pezzi anche la sicurezza dell'incredulità. A differenza di un mondo familiare, protetto da una natura benefica e benigna, come ce la proponeva l'ateismo illuministico, il mondo senza Dio dei giorni nostri viene avvertito come un caos opprimente, eterno. È un mondo privato di ogni suo senso, di qualsiasi direzione, segno di orientamento, struttura... Da cento anni a questa parte, da quando Nietzsche annunciava la morte di Dio, non abbiamo più visto atei sereni... L'assenza di Dio è diventata la ferita sempre aperta dello spirito europeo, per quanto ci si sia sforzati di dimenticarlo, ricorrendo a ogni forma di narcotici ... Il crollo dei cristianesimo che l'illuminismo si attendeva con gioia si è rivelato - nella misura in cui effettivamente c'è stato - pure come il crollo dell'illuminismo. Né, mai si è instaurato l'ordine radioso dell'antropocentrismo, dell'uomo, quello che si sarebbe dovuto erigere sulle macerie di Dio" (citato in Kasper, ivi, p. 21 ).»

(C. Fiore, Dio il problema, Elledici 1994, pp. 10-11, pag. 15)

 

 

Un personaggio emergente

"Il confronto cosmogonico tra scienziati e teologi è continuato, ignorando le ricorrenti dichiarazioni di incompatibilità tra discorso scientifico e discorso religioso. li dibattito è stato recentemente rilanciato dai dati dei satellite Cosmic Background Explorer (COBE) che rivelano leggere fiuttuazioni della radiazione di fondo (il residuo fossile dell'Esplosione) in grado di spiegare la formazione delle galassie nei primi stadi di vita del cosmo.

Presentando i dati di COBE ai giornalisti, George Smoot, il ricercatore responsabile dei progetto, ebbe a dire: "Se siete religiosi, è come vedere Dio". Che cosa significava esattamente la frase? Quando gli scienziati nominano Dio, in genere non hanno in mente Dio, ma qualcosa di molto particolare. Einstein, per esempio, rigettava il concetto di un Dio personale e professava una sorta di panteismo, una fede in un dio spinoziano diche rivela se stesso nell'ordinata armonia di ciò che esiste". Pur non essendo né fisici né teologi, gli astronauti hanno espresso anch'essi sentimenti religiosi. Mentre i primi esploratori dello spazio orbitavano in diretta tv intorno alla luna, Frank Borman salutava lo spettacolo della terra veleggiante nell'oscurità leggendo versetti della Genesi: ancora Dio. Anzi, secondo lan G. Barbour, fisico e teologo che ne ha parlato al recente Convegno dell'Associazione americana per il progresso delle scienze, Dio è un personaggio emergente, oggi più di ieri. Cent'anni fa, quando Darwin mostrava come la specie umana scaturisse da una lunga serie di insignificanti "incidenti", gli intellettuali tendevano a considerare la visione religiosa della creazione una reliquia dei passato. Oggi, man mano che la conoscenza dell'Universo si arricchisce, sembra paradossalmente che una lettura religiosa dei dati conferisca loro un senso che altrimenti non avrebbero".

(G. M. Pace, La Repubblica Cultura, 24.02.1993 in C:Fiore, Scienza/Fede, Elle di ci, Leumann

 

Geroglifico cosmico

«Si parla oggi in campo scientifico di "principio antropico". la terra cioè sarebbe uno strano pianeta calcolato al millimetro per ospitare la vita dell'uomo. Basterebbe uno scarto minimo nella temperatura degli oceani, dell'atmosfera, dei fenomeni fisici atomici e subatomici per rendere di colpo il nostro pianeta inaccessibile alla vita umana. Nel suo ultimo libro "Dio e la scienza" Jean Guitton, il Grande Vecchio dei pensiero cattolico, tira queste conclusioni: "L'universo pare costruito e regolato - con una precisione inimmaginabile ~ a partire da qualche grande costante. Si tratta di norme invariabili, che sono calcolabili peraltro senza che sia possibile determinare le ragioni per cui la natura ha scelto un certo valore piuttosto che un altro. Dobbiamo allora supporre che in tutti i casi in cui si sarebbero verificate cifre differenti da quelle del "miracolo matematico" su cui si fonda la nostra realtà, l'universo avrebbe presentato i caratteri dei caos assoluto: una danza disordinata di atomi che si accoppierebbero e si separerebbero dopo un istante per ricadere, senza tregua, nei foro vortici insensati. E poiché il cosmo rimanda alla immagine di un ordine, questo ordine ci conduce, a sua volta, verso l'esistenza di una causa e di un fine che gli sono estranei. Possiamo allora considerare l'universo come un messaggio espresso in un codice segreto, una sorta di geroglifico cosmico che cominciamo solo ora a decifrare. Ma CHI ha composto questo messaggio? " (pagg. 131 -13 2). Guitton non intende proporre le "prove" dell'esistenza di Dio, ma soltanto, in base ai principi della fisica moderna, presentare una "testimonianza" che, partendo dalla "stranezza" dell'universo, rimanderebbe "a quell'Essere trascendente che le religioni chiamano Dio".

Questa finissima "tessitura matematica" dell'universo sarebbe dunque solo frutto dei caso? è logica una conclusione dei genere?»

(Carlo Fiore, Scienza/Fede, Elledici, Leumann 1994, pag. 19)

 

 

Puro caso?

«Al fatto stesso che noi esistiamo qui oggi, costituisce una sfida alla comprensione scientifica dell'Universo. Noi non avremmo potuto esistere prima e non esisteremo dopo. In un Universo che ha circa 15 miliardi di anni, gli esseri umani non avrebbero potuto apparire prima di qualche milione di anni fa. Come dire: ieri. Quando cesseremo di esistere è meno chiaro. La nostra esistenza si estende quindi solo per un breve arco di tempo e occupa, in realtà, una regione di spazio, il pianeta terra, estremamente limitata. Noi siamo 11sintonizzati" all'Universo. Ci vollero parecchi miliardi di anni prima che l'Universo, espandendosi a partire da uno stato iniziale estremamente caldo e denso, desse luogo alla formazione delle galassie e delle prime stelle. Quanto alla vita sulla terra, ci sono volute tre generazioni di stelle per fornire le sostanze necessarie ai processi organici basati sulla chimica dei carbonio. Bastano queste poche cifre per capire quanto l'Universo sia finemente "sintonizzato alla vita". Se i valori energetici dell'elio, carbonio e azoto non fossero stati quelli che sono, non avrebbero potuto aver luogo i processi di fusione termonucleare che hanno prodotto gli elementi più pesanti. Noi quindi non saremmo qui. Se la temperatura media assoluta dei cielo fosse più alta dei circa tre gradi attuali, la terra non riuscirebbe a dissipare l'energia ricevuta dal sole e la sua temperatura salirebbe al punto che non vi sarebbe possibile la vita. Era necessario che l'Universo si raffreddasse fino a una temperatura ben precisa perché la vita vi potesse apparire. E non sarebbe apparsa se non ci fossero state le attuali leggi fisiche e se le costanti della natura non avessero avuto il preciso valore che hanno".

                                                                                                      George V. Coyne, cosmologo

- Domanda fondamentale: Puro Caso come sostengono alcuni scienziati? 0 Progetto fisico-matematico favolosamente finalizzato alla vita?»

(C. Fiore, Scienza/fede, Elle di ci, Leumann 1994, pag. 26)

 

 

«L'ateismo fenomeno post-cristiano?

Il vero ateismo si è reso possibile solo sul terreno fecondato dal cristianesimo. t un fenomeno post-cristiano. Perché? La negazione di Dio ha potuto trovare formulazioni più categoriche proprio perché il pensiero cristiano, fecondato dal giudeo-cristianesimo, ha elaborato una concezione di Dio più pura e più chiara. In fondo, solo partendo da una concezione esigente e rigorosa dei monoteismo biblico, si èpotuto giungere a una negazione atea altrettanto esigente e rigorosa. L'ateismo, nell'antichità greca e romana, non aveva avuto modo di attecchire perché le frontiere dei divino erano mai definite, perché Atene come Roma avevano aperto le porte a tutti i culti e a tutte le divinità dell'impero. Basti ricordare lo stupore e la "rabbia" di Paolo "nel vedere quella città piena di idoli". E l'inizio molto diplomatico dei suo discorso: "Cittadini ateniesi, vedo che siete gente molto religiosa ... " (Atti 17,22). Si tendeva inoltre a identificare il mondo e la natura con Dio, e nel linguaggio si passava senza difficoltà da Dio agli dei al divino. Il processo logico di eliminazione di Dio nei secoli successivi, si può così schematizzare secondo alcuni studiosi:

- Cristo sì, Chiesa no.

- Dio sì, Cristo no.

- Religione sì, Dio no.

Evidentemente la religione del Dio trascendente è diventata la "Religione dell'Umanità". li rifiuto della Chiesa è stato il primo e il più facile, evidentemente. Cristo è stato rifiutato in quanto Figlio di Dio, nella sua divinità cioè, ma pienamente accettato in quanto Uomo eccezionale, il più autorevole messaggero del Divino immanente nell'Uomo. Tolto di mezzo Cristo, rivelatore dei Dio uno e trino, è stato facile liquidare Dio stesso. E l'Uomo ha preso orgogliosamente il suo posto.»

(C. Fiore, Dio Il problema, Elle di ci, Leumann 1994, pag. 30)

 

LA MAGIA: una piaga per la nostra Italia

(di P. UGOLINO VAGNUZZI)

 

«Scrive Tommaso da Celano nella "Vita seconda" di san Francesco d'Assisi (cap. LXXIV) che "un giorno (il Santo) arrivò ad Arezzo mentre tutta la città era scossa da guerra civile... e vide sopra di essa demoni esultanti ... Disse a fra Silvestro: "Vai alla porta della città e, da parte di Dio onnipotente, comanda i demoni che quanto prima se ne vadano". Così fece il fraticello obbediente. E la città trovò la propria pace.

La storia, a distanza di secoli, si ripete. Anch'oggi nelle nostre città i demoni esultano per aver distolto da Dio l'attenzione dei fedeli orientandoli verso pratiche che cozzano apertamente con la religione.

Purtroppo si rivive un'epoca dell'antico paganesimo quando la religione si confonde con le più svariate forme di divinazione, specialmente con la magia. Ci siamo dimenticati che la religione è un rapporto con Dio, mentre la magia è il regno delle forze occulte.

Si può affermare, senza timore di essere smentiti, che le nostre città lentamente si sono scristianizzate e la mancanza di sani princìpi religiosi-morali ha favorito il diffondersi della divinazione, dell'occultismo e della magia.

Con la divinazione l'uomo si sforza di conoscere il futuro (negromanzia, astrologia, cartomanzia, spiritismo, chiromanzia, ecc.); con l'occultismo (chiaroveggenza, telepatia, interpretazione dei sogni, sortilegio, pendolo, ecc.) cerca più sicurezze per affrontare l'esistenza terrena; con la magia si tuffa a capofitto nel mondo dell'inconscio e con stravaganti riti pretende di piegare la divinità ai suoi interessi strettamente personali.

Oggi, in Italia si calcolano oltre 13 milioni di persone che ricorrono abitualmente alla magia e credono ciecamente a chi, con abilità straordinaria, riesce a convincerli circa la soluzione dei problemi più difficoltosi e vari.

E i maghi non lavorano gratis. Fanno i loro interessi, esigono cifre da capogiro, approfittando molto spesso dell'ingenuità dei loro clienti. Il guadagno dei maghi è favorito anche dalla martellante pubblicità che sanno farsi in TV, nei giornali, nei settimanali e riviste di gran tiratura. Silvio Calzolari, un esperto in materia, ebbe a scrivere.'1a nostra società che si compiace di definirsi 'laica', priva di 'tabù' religiosi, sembra attratta dall'irrazionale, dall'ambiguo, dal misterioso. Curiosità, credulità, ignoranza, malafede fanno proliferare il mondo dei cosiddetto 'paranormale' e dell'occulto".
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Vista dal lato religioso la magia è una vera antagonista ed un'autentica nemica della religione. La scienza, oggi, considera la magia "come una forma di irrazionalità" specialmente la magia "nera" che si distingue per scopi malefici ottenuti tramite poteri diabolici. Più benevolo, invece, è il giudizio per la magia "bianca" che opererebbe "prodigi" soltanto con mezzi naturali (talismani amuleti, ecc.) a meno questi mezzi non finisscano per sfociare in truffe p superstizioni.

Mi piace riportare alcuni brani dell'Antico Testamento circa la divinazione. Nel libro dell'Esodo (20, 2) è scritto: "Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altri dèi di fronte a me ". Nello stesso libro (19,26) è sentenziato "Non lasciare vivere colei che pratica la magia". Nel Levitico (19,26): "Io mi volgerò contro chiunque ricorre ai negromanti e agli indovini... e lo reciderò dal suo popolo". Nel Deuteronomio (18,10-12) la condanna da parte di Dio circa le pratiche divinatorie è ancora più chiara: "Non si troverà chi pratichi la divinazione, il sortilegio, l'augurio, la magia, gli incantesimi, chi consulti gli spettri dei familiari, chi interroghi i morti. Chiunque compie queste cose è in abominio a me". E potrei riportare tante altre citazioni, ma credo che queste siano sufficienti.

Il Nuovo Testamento è sulla stessa linea, rifiutando ogni aspetto di magia (At 8,9-13; 19,18-20), di stregoneria (Gai 5,20) ecc. Nell'Apocalisse si esclude il Paradiso per i "fattucchieri e menzogneri". Anche secondo il Nuovo Testamento esiste una vera incompatibilità tra fede e magia.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica (11 ottobre 1992) dal n. 2111 a 2117 tratta diffusamente e con estrema chiarezza il divieto della divinazione sotto qualsiasi forma, magia, stregoneria ecc. Biasima l'uso degli amuleti e mette in guardia i fedeli dallo spiritismo che spesso implica pratiche divinatorie o magiche.

L'insegnamento della Chiesa non è mai mancato in merito. Purtroppo molti hanno preferito il buio delle pratiche occultistiche alla luce della verità. Ottimo, in merito, il chiaro richiamo fatto dalla Conferenza Episcopale Toscana il 15/4/94. Auguriamoci che san Francesco passi ancora una volta per le nostre città e bandisca per sempre il re della menzogna per aiutare gli italiani a riscoprire la gioia della fede religiosa dei loro padri.»

 (estratto da: San Francesco Patrono d'Italia, Basilica di San Francesco - Assisi, n. 12, dicembre 1998)


 

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